Assunto che nel parlare di UOMO nel senso di umanità , me ne infischio delle differenze di genere, che in questo caso sono una forzatura assurda, apparentata con il fatto che i termini madre e padre siano scomparsi dai documenti per l’iscrizione a scuola dei miei figli, sostituiti dal politicamente corretto, genitore uno e genitore due, vediamo di parlare di due delle forze più potenti che l’animo umano possiede, ovvero il desiderio ed il ricordo.
Il desiderio, che nella sua etimologia è la somma dei termini latini de e siderio, significa letteralmente: dalle stelle, è il principale motore dell’evoluzione umana poiché produce una tensione continua verso il migliorare le condizioni di vita di ogni singolo individuo.
Il Ricordo, che nella sua etimologia ha il termine latino CORDA, ovvero cuore, significa consegnare al cuore, ed è anche esso un motore potente dell’evoluzione umana, poiché consente un confronto tra l’oggi ed il ieri.
Desiderare un ricordo, in termini un po’ troppo facili, dignifica dare spazio alla nostalgia.
Ma prima di arrivare a tanto occorre prendere in considerazione il fatto che nell’epoca del tutto e subito non si è più capaci di desiderare.
Anche nelle fotografie della società italiana fatte dal CENSIS, viene messo a fuoco il fatto che non siamo più capaci di desiderare, che quando guardiamo le stelle cadenti venir giù dal Perseo, non abbiamo più niente da chiedere al cielo.
Ma desiderare è molto più appagante dell’avere.
Dovrebbero ricordarsene i genitori o i maestri: insegnare ai bambini a desiderare, a non pretendere di consumare un desiderio prima ancora che si formi compiutamente, significa renderli più felici, appagati, oltre che dar loro uno strumento per vivere meglio.
Esiste un meccanismo per il quale ogni nostro desiderio, quando si concretizza, perde forza, ed è sostituito da un desiderio più grande.
Così, poiché il nostro desiderare ha come fine ultimo la verità , questa diventa irraggiungibile.
Il desiderio è tensione continua verso la perfezione, e per questo ha in se qualcosa di trascendente, mistico, persino divino.
Spegnere il desiderio significa togliere all’uomo quella tensione rendendolo di fatto infelice e, per certi versi, manipolabile.
Tempo fa ho letto su un testo di marketing, che la sovrabbondanza di offerta, rende nei fatti il consumatore non soddisfatto. Se entrando in un negozio ci ritroviamo a dover scegliere tra una trentina di modelli differenti di jeans, qualunque sarà la scelta che faremo, saremo sempre nel dubbio che una scelta diversa sarebbe stata migliore, e quindi il possedere finalmente un paio di jeans nuovi, non ci renderà per nulla felici.
Io normalmente risolvo il problema affidando la scelta ad un altro, di solito un commesso bene informato sulle caratteristiche dei jeans, ed in grado di scegliere per me.
Ma non funziona sempre, soprattutto perché i commessi sono sempre di meno, sempre meno informati e con poco tempo a disposizione, così, anche l’affidare la scelta a qualcun altro porta seco il dubbio che lui fosse realmente la persona giusta per scegliere.
Tempo fa affidavo la scelta a mia madre, senza rendermi conto di caricarla di un peso assurdo, poiché, oltra all’onere della scelta, si ritrovava il peso del mio giudizio sulla sua scelta, ed io finivo spesso con il non sentirmi a posto negli abiti che indossavo.
Insomma, qualunque cosa si faccia, si finisce per creare un corto circuito che ci rende infelici, e stiamo parlando di un paio di jeans, figuriamoci quando le scelte sono su questioni ben più importanti che riguardano la nostra vita.
E qui subentra il ricordo di quando entravi in un negozio e ti ritrovavi a dover scegliere tra due o tre modelli soltanto. Il problema della scelta era facile da risolvere, se era estate li prendevi chiari, se era inverno scuri, sempre tassativamente blu e senza menate sul colore dei bottoni, sulla cerniera e sull’elasticità del tessuto. Prendevi quelli anche se non avevano i bottoni del colore che volevi.
Ma come spesso accade, la soluzione di un problema ne ha generato un altro ancora più grosso.
Fa parte della tensione che il desiderare porta seco inevitabilmente, il che significa che tornare indietro sarebbe impossibile senza creare ulteriore infelicità .
AMARCORD
Am arcord, mi ricordo in dialetto riminese, significa ricordare un desiderio, tornare indietro nel tempo con la mente, e ritrovarsi a sentire quella tensione che ci ha spinti verso questa situazione, nella quale abbiamo nuovi desideri, più alti e più costosi, come potrebbe essere un personal shopper, che conosca i nostri gusti, e faccia le veci di mia madre o del commesso, senza che alla fine ci si senta dentro i panni di qualcun altro.
Ma è veramente così? È tassativo che indietro non si possa tornare?
Il Ricordo, quando esiste, consente di capire quanto di buono o di cattivo, persino di malvagio, ci sia in ciò che abbiamo conquistato. Non sempre la vista che si gode da una vetta è degna della fatica che s’è fatta per raggiungerla.
Così, se l’occhio di posa su una miasmatica discarica di rifiuti tossici, forse, più che il desiderare uno schermo che la nasconda, ci viene da desiderare di scendere da quella montagna, e provare un’altra strada, un’altra vetta.
In altre parole, desiderio e ricordo, consentono di ponderare le scelte, e di capire se le strade dell’appagamento dei desideri sono capaci realmente di condurci verso una maggiore felicità .
Quel che credo è che l’avvento del NICHILISMO come formula risolutiva del problema della verità , sia sbagliato perché annulla la nostra umanità , e che si possa, anzi si debba, tornare indietro e provare un’altra strada.
Fateci caso ma il marketing moderno crea bisogni, desideri fatui, per annullarli subito dopo e sostituirli con altri, si è ancorato alla nostra naturale tensione a migliorarci, per farci consumare cose che poi finiscono in discarica.
Quei jeans che ho comprato oggi, con tutti i problemi che mi hanno creato, hanno una data di scadenza, entro sei mesi saranno da buttare via.
Diventeranno NIENTE, e così com’è per i jeans, vale anche per le persone, con i camposanti destinati a diventare discariche di rifiuti.
E Bon!