Tempo fa, ascoltando una conferenza di Umberto Galimberti, nella quale veniva raccontata l’ineluttabilità dell’avvento del nichilismo, mi chiedevo se esistesse al mondo un contr’ altare di un simile pensiero, affascinante e disfattista.
Devo dire che non è facile addentrarsi nella rete alla ricerca di concetti spessi e articolati, tant’è che non sono riuscito a trovare un opposto al pensiero del Galimba che fosse ben organizzato e completo.
Bene o male il pensiero ufficiale, quello che va per la maggiore, ci porta lì, ovvero all’avvento della tecnica come concetto antropologico.
Per la tecnica, che in sintesi è la ricerca del massimo risultato con il minimo sforzo, le pulsioni umane sono del tutto indifferenti.
Gli unici valori che diventano misura dell’uomo, sono efficienza e produttività , il che lo relega alla mera funzione di servitore di un apparato tecnico, in competizione continua con gli altri.
La competizione necessaria, dura fin tanto che siamo adeguati al compito, dopo di che veniamo espulsi dal sistema, veniamo relegati al margine di una società , nella quale le pulsioni umane sono solamente un ricordo.
Mai avrei immaginato di trovare l’alter ego del Galimba ad un reading di poesie dedicate alla luna, in una bella notte di inizio estate al Collegio Alberoni di Piacenza.
Lì, come narcisisti egocentrici, i poeti parlavano di Realismo Terminale, e bene o male, tutti erano trascinati da quella corrente, che ad ogni modo non era capace di toccare davvero, nei versi, le corde del mio cuore.
Mi ripromisi un approfondimento, ma il poco tempo che ti lascia questa vita non mi consentì di farlo. Così mi ritrovai a rimuginare sul fatto che il Nichilismo fosse un nemico da combattere, senza sapere con quali armi poterlo fare, e soprattutto senza sapere in brigata di quali compagni d’armi affrontare la guerra.
Ma Guido Oldani, che Massimo Silvotti collocò sulla mia strada, nella sua umanità immensa, nella sua capacità di coinvolgere i suoi capitani coraggiosi in una vera guerra, era la personificazione della barriera al nichilismo che stavo cercando.
Ed è discorrendo con lui e con la mia mentore Taniuska, da lui messa al mio fianco, che ho capito come il Realismo Terminale fosse un baluardo di difesa potente, granitico e coinvolgente.
Le parole sono armi bianche, i versi del poeta, siccome arrivano al cuore bypassando a piè pari la razionalità , sono capaci di bucare le menti come proiettili di uranio impoverito, che sfondano la blindatura dei carri armati.
Ma non tutte le parole lo possono fare, non tutti i versi sono granate che riescono a devastare il campo di battaglia. Occorre cambiare linguaggio, occorre usare parole adeguate alla rappresentazione di un mondo nuovo, che ormai non ha più quasi nulla a che fare con le umani pulsioni.
Gli oggetti sono diventati il termine di paragone, la misura del nostro vivere. Le metafore in poesia devono nutrirsi di oggetti, nella stessa misura in cui noi siamo diventati dipendenti dagli oggetti.
Ma v’è un elemento che non può e non deve sfuggire: La poesia non è la vana e narcisistica rappresentazione di uno stato d’animo, ma un messaggio di tipo profetico.
E’ un disvelare, un offendere ed un creare. Non è un accatastamento di carabattole in bella parola, ma è lo sforzo di capire prima ancora che descrivere, lo sforzo di leggere il futuro per poterlo cambiare.
Non è possibile rappresentare il mondo di oggi con il linguaggio di ieri, così come non si può pensare alla contemporaneità con le parole che servivano a disegnare la prospettiva di ieri.
Sarebbe come una di quelle pubblicità di automobili in un panorama idilliaco, su una strada deserta, a dar l’impressione di una serenità fuori dal tempo.
Ma se la suggestione di un ritorno al passato può essere utile a vendere, non lo è per nulla al costruire qualcosa di utile all’uomo.
Quindi raffiguriamo la realtà come è, lasciamo Leopardi ed Ungaretti nel loro tempo, magari citiamoli, ma rendiamo attuale la rappresentazione dell’uomo e delle sue pulsioni residue, dando così forza ai concetti.
In questo può aiutare la contaminazione tra scienze diverse, possiamo pensare di allargare l’infinito poetico parlando di astrofisica e filosofia, ma è bene lasciare storia e memoria nel loro tempo, ed impegnarsi a parlare di questo mondo artificiale e dell’uomo che c’è dentro.
Vero è ben che l’essere all’altezza di un compito simile non è da tutti e che è facilissimo cadere in quel passato che è stato la nostra vita per decenni, nel quale ci siamo formati, e che ora appare ai nostri ragazzi come un racconto di fantascienza all’incontrario, per quanto è lontano dal presente.
Ed è altrettanto vero che solamente chi ha vissuto un simile cambiamento dei paradigmi di valutazione dell’uomo, come quello che c’è stato negli ultimi cinquanta anni, può mettere dentro la poesia l’energia che tutto ciò porta con se.
È come una faglia sismica, nella quale lo scivolamento delle placche una sull’altra, accumula energia, fino ad arrivare a liberarla in un terremoto devastante che fa andare fuori scala i sismografi ed impazzire i geologi.
Ora quel che conta è affrontare questa scala ripida e lunghissima, che porta all’umanità dell’uomo artificiale, come fosse un tempio sopra a una piramide dello Yucatan, ben sapendo che sarà in percorso faticoso e pieno di trappole nemiche.
STEFANO TORRE 1.6.VENTIVENTI