Pc.21.4.2022
Orbene ragazzi, la spiritualità è un pane da mangiare spesso. Nel senso che il nutrire se stessi con un po’ di trascendenza non risolve ma aiuta.
Diciamo che prima o poi, anche le peggiori teste dure che incontriamo, si pongono il problema del senso della loro esistenza ed entrano, inevitabilmente, in una dimensione che non è più terra a terra, che non ha più a che fare con I nostri bisogni primari, e che inizia a ricercare un fine ultimo di noi stessi.
Il problema è che di solito lo si fa quando qualcosa di grave sconvolge la nostra vita: quando muore una persona a noi cara, quando ci lascia la moglie o quando un figlio o un amico ci tradisce, ovvero quando una malattia stravolge I piani che avevamo su noi stessi ed iniziamo a mettere a fuoco che prima o poi inevitabilmente moriremo.
Se solo lo sapessimo fare senza la spinta di quei drammi, almeno sapremmo affrontarli un po’ meglio e senza farci travolgere.
Il segreto è non cacciare via il pensiero quando arriva, ed anzi, inseguirlo se prova a fuggire. Leggere, approfondire, confrontare punti di vista diversi, farsi una idea non vaga, non a sommi capi, di come altri prima di hanno affrontato il problema dell’anima e di come alla fine abbiano creato un modello di riferimento che in qualche modo possa spiegare la convivenza in noi di nobiltà e bestialità , di eroismo e meschinità , di coraggio e di vigliaccheria.
Perché se è la luce la cosa che più affascina dell’uomo ed alla quale è probabilmente destinato, in lui alberga anche il buio, ed è una tenebra spaventosa, senza stelle e senza luna.
E poi, nella trascendenza è racchiusa la verità , quella verità che ha smesso di esistere nella nostra vita di tutti I giorni, dove tutto è relativo, addomesticato alla nostra convenienza, e dove viviamo come se non dovessimo morire mai o senza la consapevolezza di essere destinati a farlo.
Il che poi è la maledizione di chi vive nel presente senza un passato e senza un futuro e nella sua vita non ha mai scelto chi e cosa essere.
E Bon!