Vi sarete ben resi conto del fatto che la nostra società stia cercando di abolire il dolore, sia quello fisico che quello ontico, ovvero morale, che poi è il dolore dell’anima.
La pastiglia di antidolorifico deve essere a portata di mano, così come le gocce per dormire o per intorpidire i sensi e non avere più pensieri escatologici, ovvero sul fine ultimo di noi stessi.
Ma i farmaci diventano necessari poiché non abbiamo più la possibilità di condividere il dolore.
Qualunque cagione di dolore è diventata un fallimento di tipo personale, privato, che è bene non far sapere a nessuno, ed in questo modo tutto diventa una sconfitta.
La mania di privatizzare tutto non è solo di una politica che ha abdicato all’economia del neo liberismo, ma è anche entrata dentro I singoli individui e si è propagata come un virus fino a diventare una epidemia.
Pensate al mantra che ci viene ricordato ad ogni piè sospinto da almeno dieci anni: la crisi è una opportunità per crescere, apre nuove strade per chi sa percorrerle e nuove possibilità di guadagno.
Poi nella realtà sono pochissime le persone o le aziende che riescono a trasformare la difficoltà in vantaggio ed uscire dalla crisi guadagnandoci. La maggior parte diventa più povera, retrocede nel fatturato, e lo fa inevitabilmente, poiché è la crisi che travolge e non la incapacità dell’imprenditore.
La privatizzazione del dolore non risolve ma acuisce I problemi, li fa diventare gravi. Vivere il fallimento economico ed affettivo come un fatto personale e non come il segmento di un problema collettivo, impedisce di superarli ed alimenta le entrate degli psicologi che diventano l’ultima estrema ancora di salvezza.
Pur di poter parlare con qualcuno del nostro dolore, siamo disposti a pagare per essere ascoltati.
Ma una società senza dolore è un corpo incapace di reagire, la cui debolezza è così estrema da non riuscire più nemmeno a desiderare la giustizia.
E così, pillola dopo pillola, Ci educano a pensare che infondo sia meglio ingurgitare quell’ultima pastiglia definitiva.
E BON!