Voglio vivere in una città in cui, all’ora dell’aperitivo, non ci siano spargimenti di sangue, o di detersivo.
E poi voglio vivere in una città nella quale siano stranieri quelli di Gossolengo, o di Rivergaro.
Non ne posso più del mondo mondo, voglio un mondo microscopico, un modo grande al massimo come una via, anzi, un condominio. Voglio un mondo con tutti i negozietti sotto casa, il panettiere, il lattaio, il salumiere, il droghiere e persino la merceria.
Un mondo nel quale il cartolaio sia il Signor Cartolaio, con un nome, un cognome e magari un soprannome; un mondo nel quale tutti sanno le cose di tutti, le donne sono pettegole ed il prete è un impiccione, discreto ma impiccione.
Voglio un mondo nel quale gli uomini si riconoscano gli uni negli altri, senza Netflix, senza Greta Tumberg a spaccare i maroni.
Un mondo nel quale le ideologie politiche sono nel sangue e la gente litiga ed urla al bar per sostenerle, liti furibonde con tanti: “Ti Ammazzo” per poi berci su parlando di calcio.
Una città nella quale i bambini giocano per strada senza bisogno di una agenda con impegni e appuntamenti.
Un Posto nel quale l’estate è l’estate, calda, afosa, e l’inverno è inverno, freddo, con la neve e la pioggia e la nebbia. Un mondo nel quale arriva la Galaverna, che i miei figli non hanno mai visto.
Voglio un mondo nel quale i cortili sono pieni di galline, e i pollai di uova, che i miei figli non sanno che le uova le fanno i polli se non perché lo han visto su Netflix.
Ma se Marcovaldo, o quell’uomo che gli stava dietro a muover le corde della marionetta splendida che aveva disegnato, Italo Calvino, avesse solo visto la millesima parte di quello che siamo oggi, cosa avrebbe scritto? Non c’è più un solo punto di riferimento che sia rimasto tale, i negozi chiudono, in centro cambiano, in periferia rimangono vuoti. La gente vive sulle risorse dei genitori, i nostri figli su cosa vivranno, che noi abbiamo mangiato tutto? Le famiglie si disintegrano, i giuramenti vengono disattesi, nessuno crede più in Dio e neppure nelle ideologie e siamo disponibili per il miglior offerente.
Siamo i killer di noi stessi, arrotati in una spirale paurosa che ci pare la regola dell’esistenza umana, una spirale che ruota vorticosamente, producendoci allucinazioni e senso di nausea.
E non c’è più un alto o un basso, un prima e un dopo, un vivere o un morire, e le chiese sono i sepolcri di Dio perché lo abbiamo ammazzato Dio.
Poi, come su uno schermo, s’accamperanno di gitto, alberi, case e colli, per l’inganno consueto, ma sarà troppo tardi.
E noi resteremo inesorabilmente soli.