I simboli nazionali resistono ancora, nonostante tutto, ma poco per volta vengono svuotati di significato.
Lo Sport, che è l’elemento più popolare della cultura collettiva, perché è condiviso da tutti, indipendentemente dal censo o dal titolo di studio, o dalle condizioni fisiche, è ciò che più facilmente rappresenta ed aggrega lo spirito di una nazione.
Così quando la Nazionale di calcio gioca le partite che contano, in milioni si mettono davanti alla televisione per guardare l’Italia e gioire, oppure disperarsi.
E nel parteggiare, o Tifare, come si dice in gergo, per la nostra nazionale, accende il nostro senso di appartenenza ad una comunità che è nazione.
A livello simbolico non v’è nulla di più forte della nazionale di calcio, neppure il monumento al milite ignoto riesce a tenergli testa.
In pochi lo sanno, ma il colore azzurro delle squadre sportive nazionali è quello della casata dei Savoia.
È un simbolo monarchico passato indenne attraverso la costituente repubblicana come se niente fosse, senza che nessuno dicesse che quell’azzurro era da eliminare così come veniva eliminato il Re.
Ma la simbologia insita nello sport e nelle sue iconografie, va oltre il particolare e diventa sempre, quando si parla di rappresentare un paese in una competizione internazionale, elemento coagulante per il popolo tutto.
Ed è il motivo per il quale il colore delle divise della nostre squadre nazionali non è cambiato nemmeno di fronte ad un cambiamento epocale del nostro paese.
Oltretutto ai mondiali del ’38 in Francia, la maglia della nazionale di calcio, fu l’oggetto di una disputa istituzionale, della quale si parla assai poco, ma che non passò per nulla inosservata.
Mussolini, capo del governo, impose infatti alla squadra italiana di giocare in divisa nera, ovvero il colore del fascismo.
L’inno nazionale era la marcia Reale. Negli stadi si respirava un clima pesantissimo, anti fascista ed anti italiano.
Gli spalti erano pieni di italiani scappati all’estero, che contestavano a gran voce quella squadra in camicia nera e che faceva il saluto romano, simbolo di un regime che non accettavano.
Poi il Re, che non aveva affatto preso bene il colore di quella maglia, andò personalmente in Francia per far cambiare la divisa agli azzurri nella finalissima contro l’Ungheria.
Ed ora, dopo anni di azzurro, l’Italia del calcio ha sfoggiato una divisa verde contro la Grecia sulla quale non era presente nemmeno lo scudetto tricolore ma una strana cosa bicolore verde e gialla al suo posto.
Io mi chiedo se sia qualche rincoglionito in federazione ad aver deciso di far indossare sta maglia, o se sia un preordinato disegno di demolizione dei simboli identitari del popolo, italiano in questo caso, ma potrebbe valere per qualunque altro.
A voler ben vedere, qualcosa non mi torna nemmeno nella formula prevista per i prossimi campionati europei di calcio, che non avranno più una nazione ospitante ma semplicemente città europee che ospiteranno le partire, sparpagliate in 12 nazioni: la gara inaugurale a Roma, la finale a Londra, coinvolgendo città un po’ in tutti i paesi dall’Azerbaigian alla Germania, dall’Italia alla Russia.
Se fosse un tentativo di abbattere le barriere territoriali all’interno dell’UE, non coinvolgerebbe paesi praticamente asiatici tipo l’Azerbaigian o la Russia, o contrari al rimanere nell’Europa comunitaria come l'Inghilterra e la Scozia. Quindi è semplicemente la eliminazione della nazione ospitante, con tutto ciò che comporta a livello simbolico, di emozione ed orgoglio per tutta la sua gente.
Succederà ancora, e succederà anche per manifestazioni molto più importanti, come i campionati del mondo o le olimpiadi.
Ci si sta arrivando per gradi, e come è successo per i campionati europei di calcio che hanno attraversato la fase della organizzazione condivisa tra più paesi, prima della polverizzazione totale, anche i mondiali hanno cominciato, sia nel calcio che nel Rugby a passare per l’organizzazione partecipata da più nazioni.
Mi pare evidente che il minare i simboli nazionali, stia passando anche attraverso lo sport che, in quanto simulacro incruento della guerra, è a livello simbolico la più alta espressione identitaria che un popolo possiede in tempo di pace.
E’ solo questione di tempo, un po’ per volta stanno evaporando le culture nazionali, le lingue, i simboli, e con queste se ne va anche una parte rilevante della nostra umanità.
A me la cosa preoccupa non poco, perché ragazzi, il confronto con le culture diverse è possibile solo quando si possiede integralmente la propria. Se non esiste più una cultura nazionale ma solo la poltiglia di una pseudo cultura internazionale, non riusciremo mai ad arricchirci nel confronto con il diverso, e finiremo con l’esserne annientati.