Quando mi hanno chiesto di presenziare alla consegna del premio letterario Senigalatticca, dedicato alla letteratura fantascientifica, mi sono posto il problema di cosa dire, ed ho provato a stendere un canovaccio del discorso che avrei fatto.
In realtà non ho rispettato ciò che avevo previsto di dire, e sono andato ben oltre, affermando che la Fantascienza, poiché immagina e racconta il futuro, è una barriera attiva contro il nichilismo.
Anzi, a voler ben vedere, nei racconti premiati a Senigallia, c’è qualcosa di rivoluzionario in senso stretto, qualcosa dal valore politico inestimabile, ed è un germe sul quale rinascere, sempre che Elohim ce lo conceda.
Questa era il canovaccio che avevo preparato:
Parliamo di futuro allora. Ma cosa è il futuro se non una proiezione in avanti del presente? E quindi occorre elaborare il presente per parlare di futuro.
Non è che il nostro presente sia particolarmente edificante, anzi, spesso si dice che le giovani generazioni di oggi non hanno un futuro, e io credo che sia vero.
Ed in ogni caso non è che si debba andare fieri di questo presente nel quale etica e morale stanno andando a pezzi, e persino l’identità di ognuno di noi si sta volatilizzando.
Non so se ci avete mai pensato, ma la nostra identità non è altro che il modo con il quale gli altri ci vedono, noi senza gli altri, senza i nostri affetti, senza qualcuno che ci riconosca e ci chiami per nome, non siamo niente.
Non è un caso, come ci spiega Claude Levi Strauss, un antropologo franco belga molto ultracentenario recentemente, gli uomini delle tribù primitive, quando vengono per qualche ragione allontanati dalla tribù, prima che non di fame o di sete, muoiono per disidentità . Nel giro di 48 ore finiscono di vivere perché non c’è più nessuno che li riconosca.
Quindi, in una società che smette di avere un senso di gruppo, di comunità , e diventa semplicemente un conglomerato di individui singoli, che si conoscono e si riconoscono sempre di meno, il rischio che corriamo è quello di finire come quei primitivi. Cosa che basterebbe a fare prendere paura.
Ma che fine hanno fatto l’etica e la morale?
Semplicemente, da quando il denaro ha smesso di essere un mezzo per vivere ed è diventato il fine della nostra esistenza, da un lato ha sostituito Dio, e dall’altro ha segnato l’abolizione di qualunque legge morale. Siccome nel denaro sta la felicità ed ancor più la nostra rispettabilità sociale, diventa accettabile fare qualunque cosa per averlo.
Non è un caso se Nietzsche nella Gaia Scienza fa annunciare la morte di Dio da un folle al mercato. Vi è anche la forza dei simboli a caricare di significato il messaggio.
Oggi, i miti contemporanei, sono tutte storie che ci raccontano come nel denaro stia l’unica chiave che apre la porta della felicità , per averlo è accettabile qualunque comportamento, e siccome è diventato ormai l’unico elemento identitario che definisca l’uomo, siamo disposti anche a distruggere il pianeta pur di sentirci a posto.
E qui è bene aprire una parentesi sui miti, che erano metastorie, nelle quali venivano descritte le tribolazioni umane e veniva offerto un esempio di come affrontarle e risolverle oppure, viceversa, perdersi in esse.
I miti poi sono stati concretati in riti. Riti è una parola sanscrita che significa ordine, disciplina, ed i riti non sono altro che un insieme di miti, questa volta ordinati e con un filo conduttore.
Dai riti alla religione prima ed alla teologia poi, il passo è breve.
L’uomo del medioevo era pieno di certezze, era un uomo che non aveva alcun problema a riconoscere il bene ed il male, a sapere cosa fosse moralmente accettabile o meno. Un uomo dotato di un’etica ben solida dominata dalla sua religiosità cristiana. Ovviamente sto parlando dell’uomo occidentale.
Ma poi già dal rinascimento, cito ad esempio Marsilio Ficino, che per certi versi è stato un precursore di Carl Gustav Jung e della sua teoria degli archetipi, per arrivare all’illuminismo fino alla contemporaneità , il pensiero razionale ha preso il sopravvento.
Ed il pensiero razionale non ha bisogno di Dio.
E l’uomo senza Dio, se volete, senza metastorie che indichino bene e male, è incapace di elaborare un senso morale ancorché minimo.
Le sacche di resistenza anti razionalistiche che oggi sopravvivono sono destinate ad avere vita molto dura.
Nietzsche aveva scomodato un demone per raccontarci dell’otreuomo, ovvero di colui che avrebbe saputo trovare il rigore morale in se stesso, senza bisogno di altro.
Diversamente l’uomo comune è destinato a cadere nel più totale nichilismo, il cui fascino è come un canto di sirena, e inesorabilmente attira per poi distruggere.
Provate ad andare ad ascoltare una qualsiasi delle conferenze di Umberto Galimberti, che è uno dei maggiori pensatori nichilisti del nostro tempo, per rendervi conto del fascino enorme che su di noi ha la disumanizzazione del futuro.
Il problema è che la logica che conduce verso il nulla ha le sue radici proprio in quella che è stata la cultura dominante del passato, ed in particolare nel cristianesimo e nei testi biblici.
Nel Genesi Dio consegna ad Adamo la natura e gli dice: Dominerai sugli animali della terra, sui volatili del cielo, sulle creature dei mari. Dominerai!
E vi spigate perché la scienza e la tecnica sia nata in occidente sotto la spinta del pensiero cristiano, Bacone addirittura dice che attraverso la scienza e la tecnica possiamo attutire le conseguenze del peccato originale.
Perché scienza e tecnica riducono la fatica, (ti sfamerai con il sudore della fronte), ed il dolore, (partorirai con dolore).
E la natura, che per i greci era quello sfondo immutabile, che nessun uomo e nessun dio fece, regolato dalla necessità che faceva da palcoscenico a uomini e dei, senza essere ne buona ne cattiva, per la tradizione giudaico cristiana diventa creatura di dio, buona per definizione. Nella genesi, alla fine di ogni giorno si dice E vide Elohim che ciò era buono.
E qui si manda il pensiero in corto circuito perché se è vero che uno dei cardini del pensiero cristiano sia il suo tendere alla salvezza, (Il passato sia male, il presente sia redenzione, il futuro sia salvezza).
È quantomeno forzato dire come fa Umberto Galimberti e generalmente tutti i nichilisti, che la scienza pensa allo stesso modo del cristianesimo: il passato è ignoranza, il presente è ricerca, il futuro è progresso.
E ciò perché la natura umana, ovvero l'uomo, possiede una spinta interiore che lo induce alla continua ricerca del miglioramento delle proprie condizioni di vita, indipendente da qualunque pensiero religioso o mitologico.
L’uomo primitivo aveva freddo e ha cominciato a vestirsi, ha capito come dominare il fuoco, ha imparato a cucinare la carne, ha imparato a usare la selce per tagliare e a fabbricare armi per la caccia, senza sapere nulla della tradizione giudaico cristiana. Si sarebbe estinto altrimenti!
Quindi dire che la scienza progredisce sulla spinta del pensiero cattolico è una cosa falsa, poiché è il pensiero cattolico che si innesta su una tendenza naturale, che, se l’uomo fosse parificato ad un animale, potremmo dire istintiva, ma rifacendoci alla psicanalisi freudiana, chiamiamo pulsione a meta indeterminata, così come Freud fece, riconoscendo che l’uomo non ha istinti.
Così come è una forzatura ai limiti dell’assurdo, affermare che qualunque pensiero occidentale è contraddistinto dagli stessi elementi, sulla spinta del pensiero cristiano: Carl Marx che ci dice che il passato è oppressione e ingiustizia sociale, il presente lotta di classe e rivoluzione, il futuro è giustizia sulla terra, oppure Sigmund Freud che afferma che il passato sia male ovvero traumi, il presente analisi, il futuro guarigione.
Il crescere e migliorare è insito nell’uomo e nella sua intelligenza.
Ma mi sto perdendo, dicevo dei Nichilisti, secondo costoro il mondo è destinato ad essere dominato dalla tecnica e dalle sue leggi secondo le quali sarà la legge del minimo sforzo a dominare tutto.
La tecnica, che non è la tecnologia, vive su due valori che sono l’efficienza e la produttività , e sono valori che annientano l’etica e la morale.
Gli uomini diventano funzionari di un apparato tecnico, si disumanizzano e tutta la loro vita ruota attorno alla loro capacità di essere adeguati.
Si innesca uno stato di competizione con gli altri talmente forte da far passare in secondo piano etica e morale, poiché la vita di ognuno di noi viene scissa in due: da un lato il privato, poche ore alla settimana nelle quali possiamo essere noi stessi, fare quello che ci pare, ed il resto del tempo a fare il funzionario di un apparato tecnico. Il problema vero diventa il riuscire ad infilare in quel pizzico di vita privata che ci rimane, qualcosa che renda la vita degna di essere vissuta, e non è affatto scontato.
Oggi, sempre di più, la depressione non è generata dai sensi di colpa, ma dall’ipotesi di inadeguatezza futura. Si vive sul filo del rasoio: fin tanto che si è adeguati il sistema ci accetta, quando diventiamo incapaci di essere efficienti e produttivi, ci espelle, anzi, ci rottama.
Ed è in questo clima che trionfa l’individualismo con la sua faccia cattiva che è l’egoismo.
Compito di ogni uomo contemporaneo è, a parer mio, il combattere questa deriva, perché, contrariamente da quanto affermato dai Nichilisti, è possibile una alternativa.
Occorrerà però che la politica si riappropri del controllo dell’economia, senza lasciare che nessuno, ovvero il mercato, governi al posto nostro.
Omero ci ha insegnato che Nessuno è sempre il nome di qualcuno.
E Bon!