domenica 8 settembre 2024

Voglio tornare bambino

Qualche riflessione e molta nostalgia pensando ai mille fratelli che avevo nel Borgo Ratto, a Bettola, tanti anni fa.

Voglio tornare bambino

Io quel giorno me lo ricordo, dovevo avere tre o quattro anni, era estate, una calda giornata estiva che volgeva al tramonto.

Bettola era il posto più bello del mondo, la vecchia casa della nonna Teresa, che guardava il sagrato di San Bernardino, era un luogo da sogno, piena di stanze sconosciute, di angoli assolati nel cortile e di anfratti bui.

Era di pietra, con due piani e persino una torretta alla quale si arrivava con una scala ripidissima, che però era proibita ai bambini.

Nel pomeriggio il Borgo Ratto, ribattezzato pomposamente dal Comune, viale Europa, si riempiva di tutti i bambini della via, come fosse una estensione delle case, ed era come avere centinaia di fratelli.

Con quella vespa era venuto non so chi, qualcuno che doveva parlare con mio padre.

Mi prese e mi mise sul sellino, e mia madre corse a prendere la macchina fotografica, la Foiklender (per gli esteti: Voigtländer), e mi scattò questa fotografia.

Non era una macchina fotografica come le altre, per questo me la ricordo, non aveva un oculare in cui guardare come in un mirino, la si teneva con le mani all’altezza del torace, con un cinturino che passava attorno al collo, ed aveva un visore che, come una specie di miracolo, consentiva di vedere in orizzontale, guardando verso il basso, quel che si stava per fotografare.

Io ero orgogliosissimo di essere seduto su quella motocicletta ed avevo un vasto pubblico di bambini che mi osservava e che sentiva quell’orgoglio perché avrebbe voluto essere al mio posto, e si immedesimava in me, condividendo in qualche modo l’estrema fortuna che avevo avuto in quel momento.

Era tutto così semplice, così bello, così incommensurabilmente puro, da far star male a ricordarlo.

Era l’emozione di un attimo, vissuta come se fosse eterna, perché era condivisa intimamente con ogni altro bambino del borgo.

Ed era talmente forte che persino i grandi, non solo la percepivano, ma si industriavano per immortalarla, per poterla conservare anche dopo.

Oggi di bambini nel vecchio Borgo Ratto, non ce ne sono più. Sono chiusi in casa, oppure alla piscina comunale, o chissà dove.

Non c’è più quel continuo vociare cosparso di gorgheggi di felicità, o di pianti per un ginocchio sbucciato.

Non c’è più quel senso di comunanza che ci rendeva fratelli, e persino compatrioti, già, perché dovete sapere che i bambini che stavano di là dal Nure, in San Giovanni, erano stranieri, ed in quanto tali erano cattivi.

Si vociferava che squartassero i gatti, e persino che una volta avessero estratto un topo vivo dalle viscere di un gatto tigrato al quale avevano tagliato la pancia da vivo. Non parliamo di quello che si diceva facessero ai bambini di San Bernardino, se riuscivano a prenderli, pareva che li legassero e li torturassero.

Io, come gli altri, eravamo indignati ed in cuor nostro desideravamo fargliela pagare.

Maledetti quelli di San Giovanni!

Probabilmente di là dal Nure correvano le stesse voci, a ruoli invertiti, e la stessa indignazione, che era bella perché pura, era liberatoria poiché incarnava il male assoluto e lo esorcizzava.

Avevo la vita davanti, ma non ci pensavo. Vivevo come dovrebbero vivere i saggi, non andando mai oltre l’oggi, che è il segreto per poterlo gustare fino in fondo.

Questa foto andò perduta in chissà quale di traslochi che ci capitò di fare in seguito, ma a quei tempi c’era l’abitudine di far stampare diverse copie delle pochissime fotografie che si scattavano, e di distribuirle tra gli amici di famiglia.

Così, pochi anni fa, la Titti Marchesi, cara amica di mia madre, ha pensato di farmela avere, facendomi uno dei più bei regali che io abbia mai ricevuto.

Siamo invecchiati raga, ma io ora sto col mio cuore urlando: “Voglio tornare bambino!”, e se mi concentro a fondo, con tutta la forza che ho, posso riuscirci, possiamo riuscirci tutti se davvero lo vogliamo.


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