Tempo fa mi si parlava di croci e mi si diceva che se andavo in piazza con la mia per scambiarla con quella di qualcun altro, dopo aver ben osservato quelle degli altri, sarei tornato a casa con la mia e magari avrei iniziato a lamentarmene di meno.
Ora sono in piazza cavalli a guardare i radi passanti della domenica mattina che sono tutti mascherati ed ho ancora una vaga dolenzia che dalla fronte scende fino alla mascella.
Non so se ci sia qualcosa di più devastante di una intera notte passata in compagnia del mio trigemino infiammato, se non il farlo praticamente tutte le notti.
Il fatto è che quando passa ti ritrovi talmente scombussolato che non riesci più nemmeno a connettere tra loro i tuoi pensieri, non riesci più a mettere in fila nulla. Ti limiti a deambulare come un morto vivente per la città , a riempirti di caffè ed a trascinare quella nuova croce che si accatasta sulle altre aumentandone il peso.
Quando passa il dolore, quello forte, che ti fa urlare, venire le lacrime, non è che tu stia bene, ti rimane per ore ed ore un dolore leggero, come un retrogusto di amaro, che ti accompagna per molte ore.
Ma il dolore fisico è una metafora di quello dell’anima ferita, che sanguina come un corpo trafitto da troppe coltellate. Una metafora straordinariamente vera, che andrebbe capita, interpretata, valutata, ma non ho gli strumenti per farlo.
Così stamattina sono uscito di casa portando con me un libro: LA SOCIETÀ SENZA DOLORE di Byung-Chul Han, che diverrà , ne sono certo, una pietra miliare per chiunque voglia nel futuro studiare l’uomo e la società umana.
L’intento è quello di leggere il prossimo capitolo che si intitola “La Poetica del dolore†e magari capire qualcosa di più di quel che mi succede.
Stanotte il dolore non è mai sceso sotto quella soglia che ti consente di dormire. Nel tormentato dormiveglia sognavo me stesso trasformato in statua, con la gente che mi camminava su balconcini attorno agli occhi ad osservarli da vicino ed uno, bastardo, che mi tirava le ciglia proprio lì dove il dolore si sentiva più acuto.
Vorrei incontrare quel bastardo e prenderlo a pugni, fargli male, restituirgli una parte di quel dolore che ho provato, così magari decide di non tornare a farlo questa notte.
Mi immagino la scena, magari poi arrivano anche i vigili urbani che dopo avermi arrestato mi chiedono il perché di una simile aggressione, ed io racconto che sto stronzo viene di notte a tirarmi le ciglia degli occhi!
Mi viene da ridere.
E penso che è bello, nonostante tutto, non avere perduto la capacità di ridere di me stesso.
E Bon!