L’EQUINOZIO
Sulla questione dell'equinozio Mario era stato molto chiaro: “si vede di notte”, aveva detto, “è bellissimo, ma bisogna salire più in alto possibile e bisogna avere la fortuna che non ci siano nubi in cielo “
Lui lo aveva studiato a scuola, allora faceva la terza ed era più grande degli altri bambini che lo vedevano come una specie di autorità, soprattutto quando parlava di cose che si imparavano a scuola e delle quali gli altri bambini erano completamente ignari.
L'equinozio era una di quelle. Sapevamo che era un giorno speciale perché si diceva che dovesse iniziare la primavera, ma nessuno aveva idea di cosa davvero significasse. In realtà il tempo non cambiava, né la temperatura, né l'inverno pareva davvero lasciare il posto ad una stagione più mite, anche se le primule ai margini del bosco qualcosa dovevano pur significare. Doveva essere qualcosa di magico che accadeva e sicuramente era molto grande, molto molto grande se perfino i genitori più lontani dall'idea della magia ne parlavano.
Così quando Mario propose di andarlo a vedere quella notte salendo sulla collina fino al castello che stava sulla cima e poi dentro la torre, al buio, fino a raggiungere il punto di osservazione più alto che fosse nelle vicinanze del paese, tutti furono presi da un forte senso di eccitazione.
Il problema era solo quello di riuscire a sfuggire al controllo dei genitori, ma nella notte fonda anche loro dormivano e noi contavamo sul loro sonno per poter uscire di casa ed avventurarci nel bosco fino al castello.
Avremmo visto l’equinozio in cielo, tra le stelle, e Mario diceva che appariva molto tardi, dopo la mezzanotte, ed era un bagliore che illuminava tutto, per un istante e poi si spegneva piano piano, lasciando una impronta nella notte, fino all’alba.
Così, a notte fonda, ci alzammo dal letto ed uscimmo di casa. Ricordo il freddo talmente intenso da farmi desiderare di tornare indietro appena uscimmo, e lo avrei fatto, se non fosse stato che mio fratello più piccolo di me si incamminò per la strada come se niente fosse.
Ricordo anche la paura che mi accompagnava ed il vento che pareva volesse dire qualcosa di misterioso ed incomprensibile.
L’appuntamento era dietro la chiesa, ed il trovare lì una decina di altri bambini mi diede coraggio, e credo abbia avuto lo stesso effetto su tutti.
Partimmo in fila indiana, tutti seguivamo Mario. La camminata verso il castello sarebbe durata una mezz’ora, ed in parte era sulla strada dove passavano le macchine che speravamo di non incontrare e non incontrammo.
Poi c’era da affrontare il sentiero nel bosco, e lì anche Mario ebbe qualche tentennamento, si mise a parlare delle ombre che popolavano il bosco di notte, diceva che erano tutte cattive, ma erano solo ombre e bisognava non avere paura di loro perché non potevano fare del male.
“sono anime di gente che non è andata né in paradiso e nemmeno all’inferno, talmente cattiva che nemmeno l’inferno le ha volute”
Parlava sussurrando, come se non volesse farsi sentire.
“mia nonna una volta mi ha detto che ne ha incontrata una nel pollaio e le galline erano tutte morte per la paura, ma lei gli aveva detto vattene via ombra cattiva, e lei si era dileguata.”
Iniziammo la salita nel sentiero del bosco chiedendoci se avremmo fatto la fine delle galline, o se Mario stesse esagerando nel racconto, fatto sta che dopo nemmeno cento metri capimmo che non mentiva, che le ombre c’erano davvero.
Io mi pentii di aver desiderato vedere l’equinozio, mi pentii di essere uscito di casa e pregai di poterci ritornare.
Ripetevo a me stesso: “sono solo ombre, non possono toccarti”
Poi Simone, che era il più piccolo, si mise a piangere, ed a dire di essere stato toccato, e Luigi poco dopo si mise a correre dicendo di scappare.
Così in men che non si dica lo imitammo scappando a gambe levate, e ci disperdemmo nel buio della boscaglia, ognuno per sé.
Intanto in paese si erano accorti della nostra assenza ed avevano iniziato a cercarci.
Sentii il rumore di una macchina che andava avanti e indietro sulla strada a poca distanza da dove eravamo, se solo avessi raggiunto la strada, sarei stato salvo.
Il primo ad essere trovato fu il Cecco, sul ciglio della strada illuminato dalla luce dei fanali, e poi, uno per uno, ci trovarono tutti, e ci portarono a casa.
Prendemmo un sacco di botte, allora usava così, ed a tutti toccarono punizioni esemplari, ma eravamo talmente soddisfatti di essere sfuggiti alle ombre che la punizione ci pareva lieve.
Tutti passammo l’estate a lavorare nei campi senza poter giocare, ma trasformammo il lavoro in un gioco, così come soltanto i bambini sanno fare, ma è un’altra storia.
Quello che rimane, a distanza di quasi mezzo secolo da allora, è una punta d’amarezza per non aver visto con i nostri occhi la magia dell’equinozio nel cielo, ma siamo stati vicinissimi al farlo, e questo ci basta.
E Bon