lunedì 28 aprile 2025

Premio Montale alla carriera a Guido Oldani: io c’ero


Premio Montale alla carriera a Guido Oldani: io c’ero

Milano, 2 aprile 2025 – Ieri ho avuto il privilegio di assistere a una cerimonia che non dimenticherò. L’aula Negri da Oleggio dell’Università Cattolica di Milano era gremita, colma fino all’inverosimile, come accade solo per le grandi occasioni. E questa lo era: Guido Oldani, maestro e amico, ha ricevuto il Premio Montale alla carriera.

In quella sala, tra poeti, artisti, accademici, si respirava un senso profondo di gratitudine, di riconoscimento. Ho sentito che la poesia, per una volta, veniva trattata con il rispetto che merita.

Ha condotto gli interventi Giovanni Gazzaneo, direttore della rivista I luoghi dell’infinito, che ha letto le motivazioni ufficiali del premio con la solennità necessaria e la delicatezza che solo chi ama davvero la poesia possiede. Ha raccontato anche un dettaglio bellissimo: la finestra della casa di Oldani che si affaccia su un muro. Una visione che, se per molti potrebbe sembrare una condanna, per Guido è icona perfetta del Realismo Terminale. Il muro non come ostacolo, ma come presenza che definisce il nostro spazio, come simbolo della nostra condizione.

Amedeo Anelli, direttore della rivista Kamen, ha detto che “Oldani è un poeta europeo di lingua italiana”, e in quelle parole c’è tutto il respiro della sua opera: radici salde, ma rami che si stendono oltre ogni confine.

Adriana Beverini, presidentessa del premio Montale, ha pronunciato una frase che condivido profondamente: “L’invenzione del Realismo Terminale vale di per sé un Nobel”. Perché sì, creare un nuovo modo di guardare il mondo, un linguaggio che ci racconti in questa epoca disumanizzata, è qualcosa di gigantesco.

Pierangelo Dacrema, economista e professore all’Università della Calabria, ha portato un pensiero forte e necessario: “L’economia ha bisogno della poesia per fermare quella deriva dell’idea di profitto che tende a trasformare l’uomo in un oggetto.” Non posso che sottoscrivere queste parole, perché è anche questo che la poesia oggi deve fare: resistere, contrastare, ridare senso.

Poi è intervenuto Francesco Sberlati, filologo e italianista dell’Università di Bologna, che ha parlato di metrica, accenti, rime, assonanze, figure retoriche nella poesia di Oldani. Un’analisi precisa, profonda, che ha mostrato quanto lavoro, studio e consapevolezza ci siano dietro quella scrittura così tagliente, essenziale, necessaria.

Gilberto Colla, da grande attore qual è, ha recitato alcune poesie di Guido. Le sue parole ci sono entrate dentro, vibrando come corde tese tra l’emozione e il pensiero.

E poi ha parlato lui, Guido Oldani. Lo ha fatto con l’umiltà e la grandezza che lo contraddistinguono. Ha detto che quello del poeta è “il mestiere più bello del mondo” e che è l’unico mestiere che avrebbe potuto fare. Ha raccontato che la sua passione è nata grazie alle letture giovanili: prima Pavese e Ungaretti, poi Clemente Rebora, che ha avuto un’influenza profonda sulla sua visione e sulla sua parola poetica.

C’ero anch’io, seduto in mezzo a tanti amici e compagni di scrittura. Stefano Torre, colonna del Realismo Terminale. E non posso nascondere l’orgoglio di far parte di questa storia. Perché il Realismo Terminale non è solo una corrente, è uno sguardo sul mondo, è una forma di resistenza. E Guido, con la sua poesia e la sua vita, lo testimonia ogni giorno.


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