martedì 3 dicembre 2024

Cara Maria Vittoria

Lettera aperta di un uomo Bionico

Cara Maria Vittoria

Piacenza 2 Febbraio 2016

Cara Maria Vittoria,
finalmente trovo il tempo di scriverti.

Probabilmente un anno fa avrei declinato l'invito, troppo forte era il sentirmi in balia degli eventi, troppo vicino il trauma dell'operazione, troppo incerto il futuro.

Oggi è cambiato qualcosa, ciò che mi è successo lunedì scorso mi mette in condizioni d'animo eccezionali, tali da non avere più riserve sul narrare la mia avventura.

Probabilmente sarò impreciso nelle terminologie mediche, ma fare il medico non è il mio mestiere ed in questa occasione ho preferito non approfondire troppo, ed affidarmi alle mani dei medici senza farmi o fare troppe domande.

Ci sono stati momenti nei quali ho avuto paura, altri nei quali mi ha preso il panico, ma alla fine il risultato, foss'anche solo temporaneo, mi ripaga di tutto, e con lauto margine.

Ti stò scrivendo usando a due mani la tastiera, quattro anni fa potevo usare solo tre dita, probabilmente, se ci incontreremo, verrò a piedi nel luogo dell'appuntamento ... significa vivere quelle piccole cose che tutti danno per scontate, cose che non potevo fare e delle quali avevo imparato a non sentire la mancanza dicendo a me stesso "tanto non sono interessanti" ... piccole cose che fanno grande l'esistere, e ti fanno urlare che la vita è bella.

La notte prima della mia operazione, nella quale il sonno era l'ultima delle delizie che potevano prendermi, ho avuto un sacco di tempo per allineare nella mia mente tutte quelle cose che non avevo mai fatto perché non erano interessanti, e dopo una attenta e ponderata analisi ho messo al primo posto dell’elenco la "lunga passeggiata" il piacere di andare a zonzo per le vie della città senza il problema di dovermi fermare dopo poche decine di passi perchè il dolore diventava insopportabile e la fatica muscolare mi riempiva di acido lattico.

Qualche mese dopo l'operazione, circa sei, il miglioramento era stato giĂ  sufficiente a consentirmi di camminare per tratti piĂą lunghi, pur con fatica. Imponevo a me stesso giri contorti per le vie della cittĂ  nel raggiungere l'ufficio ... e ci riuscivo ... provando una enorme soddisfazione.

Finché un maledetto marciapiede di via Taverna si è reso responsabile di un delitto ai miei occhi gravissimo, imperdonabile: un piede in fallo, un crack funesto ed un microscopico ossicino che va in frantumi.

In condizioni normali sarebbe stata una semplice frattura del metatarso, ma nelle mie diventava la fine, forse definitiva, di quell'esaltante sentir migliorare giorno per giorno le capacitĂ  di controllo dei movimenti.

Ed ho smesso di passeggiare, ho ricominciato a muovermi in automobile ed a cercare il parcheggio più vicino possibile al luogo nel quale dovevo andare, ho ricominciato a negare a me stesso di desiderare ciò che non potevo fare.

Non stò a dirti delle multe per divieto di sosta, dell'arroganza di certi vigili urbani che andava ben oltre l'umiliazione della mia dignità, e non stò a dirti di quanto ho odiato, profondamente e convintamente, coloro che occupavano i posti riservati agli invalidi con i loro suv strafottenti senza averne alcun diritto.

Resta il fatto che lunedì mattina, mentre stavo lavorando, ho sentito come un click di un interruttore scattato dentro di me, ed una sensazione piacevolissima di relax e benessere, mi sono alzato e .... camminavo senza problemi!

Ho atteso un paio di giorni e ... la sensazione non smetteva, la camminata continuava ad essere buona e mi son fatto prendere dall'euforia!

Con i miei ragazzi abbiamo girato un video (il peggiore per qualitĂ  mai visto) di me che camminavo in via Roma ... e lo abbiamo postato su facebook riscurendo un successo enorme.

Pensa che mi hanno contattato da mezza Italia altri nelle mie condizioni e stiamo organizzando un ritrovo ... chi piĂą chi meno, tutti hanno ricominciato a vivere, come amano dire ... uno di loro ha persino giocato a calcio in serie A, altri hanno semplicemente migliorato la loro vita, le piccole cose che fanno bella la vita.

Io ho una forma di distonia particolare detta DT1 (il nome del gene responsabile) di origine genetica e molto rara. Tra l'altro si manifesta in un numero bassissimo dei portatori del gene, rendendo veramente scarsissima la probabilitĂ  di averla. (ho vinto alla lotteria insomma)

La malattia è degenerativa, ad esordio infantile prende di solito un braccio ed innesca problemi a scrivere, poi progredisce, inizia ad estendere il suo raggio di influenza ad un piede e si inizia a camminare male, a camminare in avanti male ma benissimo a retromarcia e soprattutto benissimo di corsa.

Se non ti immagini cosa ciò significhi pensa a come 35 anni fa la genetica fosse sconosciuta ala gran parte dei neurologi, ed a come la più facile delle conclusioni a cui arrivavano i luminari dai quali mio padre mi portava fosse: "è impossibile, sicuramente finge" ... e partivano considerazioni improbabili sul movente del mio atteggiamento, soprattutto partivano i ceffoni e le sgridate da parte dei miei genitori ,poveretti, che non sapevano letteralmente cosa fare per farmi cambiare atteggiamento.

Dopo essermi sottoposto, per anni ed anni, ad ogni genere di indagine medica senza mai ottenere una diagnosi, ho smesso di cercare, per 15 anni ho vissuto semplicemente non desiderando fare ciò che fare non potevo, finché un bel giorno ho fatto richiesta all'ausl per una visita neurologica che mi portò all'ospedale di Piacenza in un gabinetto medico di quelli che ti fan venir voglia di scappare.

Il medico mi fa un sorriso, mi dice di essere al suo primo giorno di lavoro e che io ero il suo primo vero paziente, … mi guarda, mi fa scrivere, mi fa alzare e camminare, il tutto è durato 5 minuti, … e mi ha diagnosticato la malattia.

La mia prima diagnosi ... e mi era costata solo il ticket!

A questo punto sono stato ricoverato e sottoposto agli esami del caso. La diagnosi fu confermata: sapevo finalmente il nome della mia malattia.
Non smetterò mai di ringraziare quel dottore, il cui viso sorridente mi rimarrà a vita nella memoria.

Ed arriviamo alla DBS ovvero Deep Brain Stimulation, che il nome della tecnica utilizzata per curare il mio malanno. Sentir parlare di stimolazione profonda del cervello fa paura anche a te vero?

La prima volta che me ne parlarono fu all'ospedale di Piacenza nel confermarmi la diagnosi di quel genio al primo giorno di lavoro. Non ne sapevano gran che, mi dissero che si trattava di produrre chirurgicamente ferite in una zona profonda del cervello e di come ciò fosse in grado, non si sa perché, di far regredire parzialmente la mia distonia.

Come dire: "tieniti il tuo malanno e continua a conviverci". Poco male, lo facevo da trent'anni e potevo continuare a farlo.

Decisi che un intervento chirurgico del genere lo avrei preso in considerazione solo se fossi diventato completamente incapace di muovermi, e ripresi la mia abituale vita ... finché mio cugino Paolo,che insegna Fisiologia Umana alla Università di Medicina di Milano e che si era, a mia insaputa, molto bene informato sul malanno, mi convocò, mi informò sui passi avanti che la medicina aveva fatto e mi disse letteralmente: "se non lo fai sei un cretino!". In risposta io non gli ho parlato per due anni.

In ogni caso non si trattava di provocare ferite al cervello, roba superata, ma di inserire due elettrodi in profondità, nei globi pallidi, collegarli a due computer che venivano inseriti nel petto, e con un siffatto sistema regolare flussi elettromagnetici capaci di cambiare il modo con cui vengono controllati i movimenti involontari. "Non si sa perché funziona, ma funziona. Pensa che uno che l'ha fatto ha giocato nella Roma"

Va bè ... a me il calcio piace molto, ho giocato tantissimo a subbuteo, ma l'idea di farmi aprire il cranio ... non era accettabile!

2 anni passati a meditare ed alla fine ho deciso di prendere appuntamento al Besta di Milano e di iniziare il percorso verso l’operazione di Deep Brain Stimulation.

Mi hanno affidato alle cure di un neurologo tostissimo e mi han fatto visite su visite, la maggior parte delle quali in inglese, hanno misurato in ogni modo le mie capacità motorie, mi hanno sottoposto a test psicologici, hanno misurato la mia memoria …. Prassi normale, ma io ero il più anziano a sottoporsi all’intervento ed i controlli, soprattutto quelli psicologici, furono veramente approfonditi.

A parte il fatto che per la prima volta in vita mia qualcuno mi definiva anziano, la mia idoneità risultò perfetta … e venne fissata la data della operazione. A fine aprile del 2012 sarei diventato un uomo cibernetico.

In realtà dovetti attendere luglio perché mi chiamassero, qualche giorno per sottopormi ad esami approfonditi .. cuore, elettroencefalogramma, risonanza, Tac, tutto insomma, ed in più l’avatar, mi hanno fatto l’avatar, un pupazzo virtuale che riproduceva i miei movimenti, come camminavo, come scrivevo ….

La sera prima del D Day mi convocò il chirurgo … mi accolse con un: “si accomodi” seguito da un: “lei ha fatto testamento vero?” (io spero ancora che stesse scherzando)

Qualche giorno in ospedale, le chiacchiere con altri pazienti, le mezze frasi sentite origliando le conversazioni tra medici, mi avevano convito della enorme pericolosità dell’intervento cui stavo per sottopormi.

Mai fidarsi delle voci di corridoio, mai fidarsi di internet quando il tema è la medicina …. Però il 3% di interventi non riusciti non era assolutamente confortante ed un quel clima ero spaventatissimo.

Il mio intervento non riuscì!

Per 5 ore in sala operatoria sentii ogni frase, ogni rumore. Ero sveglio e legato al lettino con una specie di casco che mi teneva bloccata la testa. Il racconto di quelle 5 ore potrebbe diventare un romanzo di successo se solo fossi capace di scriverlo, resta il fatto che già dopo la prima mezz’ora capii che qualcosa non stava andando per il verso giusto: l’elettrodo era finito nel posto sbagliato.

Il clou fu quando diedero corrente per la prima volta: una mia gamba si alzò da sola e mi mancarono improvvisamente parola e respiro …. “ci siamo” mi dissi, ma dopo probabilmente una decina di secondi che mi parvero una eternità, tolsero corrente e ripresi a respirare con uno strano sapore metallico in bocca che rimase per qualche giorno.

Fu un continuo spostare l’elettrodo, spostamenti micrometrici, ma dai uno e dai dieci, all’improvviso sentii metà del mio corpo rilassarsi piacevolmente.

Mi era venuto un ictus. Detto così smembra pazzesco, infatti per smorzarne il significato i medici lo chiamano effetto pallido tomico, il che significa che il globo pallido ha subito una ferita, ovvero che ti è venuto un ictus.

In ogni caso se l’effetto fu straordinariamente piacevole: ero rilassato, seppur solo nella metà sinistra del mio corpo, come non mi succedeva da almeno trent’anni!

L’operazione abortì dopo 5 ore di tentativi di posizionamento dell’elettrodo.

Una settimana dopo ero comunque pronto per sottopormi ad un nuovo intervento e questa volta andò tutto bene!

Visto come ero uscito traumatizzato dalla prima operazione mi diedero una dose di valium bella tosta ed il tempo passò senza quasi me ne accorgessi, ma l’aver già vissuto l’esperienza mi avrebbe comunque reso capace di affrontare l’operazione a testa alta. Mi sentivo un Eroe!

 

Poi iniziò il decorso post operatorio. Io mi aspettavo di poter riprendere il controllo dei movimenti, almeno parzialmente, appena fosse stato acceso l’apparato. Lo accesero senza che me ne accorgessi e mi dissero “ci vediamo tra un mesetto per accenderlo”

Fu una delle arrabbiature piĂą grandi della mia vita.

In realtà l’aver installato l’apparato mi procuro piccolissimi miglioramenti, ma ogni giorno un nuovo miglioramento si sommava a quelli precedenti … dopo due mesi iniziai a capire e ad esaltarmi, dopo sei mesi iniziai ad andare in ufficio a piedi.

La mia mente, liberata dall’onere di doversi perennemente concentrare sul controllo dei movimenti dei miei arti, divenne capace di cose inaspettate, fare conti era facilissimo, assegnare un nome e cognome alle facce (cosa difficilissima per me) divenne uno scherzo da ragazzi, e distinguere la destra dalla sinistra una impresa praticamente impossibile.

Purtroppo le super capacità mentali sono scomparse dopo pochissimi mesi, mentre è rimasta l’incapacità di distinguere la destra dalla sinistra: per me oggi esistono solo il di qua e il di là.

Il resto è storia di questi giorni

Forse non sono riuscito a rendere in modo abbastanza vivido le sensazioni che ho provato durante l’intervento, e probabilmente la mia narrazione ha bisogno di ritocchi ma è la prima volta che provo a scrivere questa storia ed il discorso è giocoforza molto disorganizzato e pieno di omissioni involontarie.

Lasciami concludere dicendo che dal 2012 ad oggi ho partecipato a numerosi congressi medici (spesso in inglese) in qualità di Fenomeno Vivente tipo Frankestein Junior, che il mio neurologo si collega in wireless al mio cervello e mi fa muovere come vuole lui e che quello là ha giocato a calcio in Nazionale (ma forse è solo una leggenda).

La vita è bella in ogni caso, non esiste una condizione di disabilità che possa cancellarne la bellezza, io ho vissuto per anni cercando di prenderne il meglio pur con forti limitazioni fisiche, ed i miei risultati li conosci anche tu, sono stato consigliere comunale, ho aperto una azienda di web design, nel mondo degli astronomi sono il poeta delle stelle, ho combattuto come un leone ed ho vinto tante battaglie.

Non sono le limitazioni fisiche ad impedirti di vivere, è altro che ti porta a far diventare le tue limitazioni una scusa per rinunciare a sfide e traguardi.

Ora io vivo la mia condizione di miracolato con una enorme soddisfazione ed auguro a tanti di poter provare l’esaltazione e la felicità che sento, ma credo di poter dire anche a coloro che soffrono disabilità analoghe alla mia: “ciò che conta è voler vivere!”

Il mio stato di grazia potrebbe finire domani, ma la mia voglia di vivere resterà fino all’ultimo giorno … quando la vita stessa si rivelerà essere la malattia incurabile più perniciosa che esista.

Ciao
Stefano

 


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    Flavia Cogliati presidentessa della Associazione per la ricerca sulla distonia
    Stefano ha vinto perché ha avuto il coraggio di riprendere in mano la sua vita e portare avanti la sua battaglia, magari in i modo bizzarro, ma con tanto, tanto coraggio.
    Pubblicata il:18/12/2017
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