La politica surreale
Conosco Stefano Torre da quando nel periodo 1994-1998 siamo stati entrambi consiglieri comunali a Piacenza, io nelle fila di una lista civica (Alleanza per Piacenza) che aveva sostenuto l’allora sindaco Giacomo Vaciago, lui in quota Lega Nord, nel tempo di Bossi e della ipotizzata secessione del Nord.
Già allora il mio rapporto fu di simpatia e amicizia, per la naturale propensione di Stefano ai rapporti umani e al sorriso e per una istintiva empatia tra di noi. Poi per anni, entrambi lontani dalla politica attiva, ci siamo spesso incrociati a Piacenza, condividendo la comune passione per l’arte contemporanea ed una sintonia di fondo su certi valori civici e sociali, pur non nascondendo divergenze significative di orientamento politico e partitico.
Quando agli inizi del 2017 mi fu proposto di candidarmi come Sindaco per il centrosinistra, pensai anche a Stefano come possibile candidato della mia lista civica, proprio perché era mia intenzione coinvolgere persone di diverso credo politico ma comunque attente ai problemi della città e all’impegno civico. Stefano mi anticipò, con la sua provocatoria candidatura a sindaco con una lista personale, dopo che già a Bettola aveva fatto intravedere il tipo di proposta che avrebbe poi offerto a Piacenza.
Come spesso ha poi dichiarato in diversi momenti della campagna elettorale, la sua è stata una candidatura di testimonianza e di protesta nello stesso tempo. La testimonianza di un cittadino senza partito, anzi che si contrappone apertamente ai partiti tradizionali, con atteggiamenti di chiara opposizione e denuncia degli aspetti più deleteri della politica di oggi. Ma sono state soprattutto le sue “proposte” progettuali per la cittadina della Val Nure, che hanno creato il modello poi adottato anche nel comune capoluogo: dall’attivazione di un vulcano per ottenere i fondi statali per la ricostruzione del post-eruzione, alla costruzione di un porto mercantile in un torrente che in estate non ha quasi acqua, dall’organizzazione di un Gran Premio di Formula Uno all’invasione dei vicini comuni di Farini e Ferriere.
Evidenti provocazioni, accompagnate da una intensa campagna web giocata tutta sulla protesta e sul paradosso (un bravo sindaco “manda a cagare tutti”). Anche per Piacenza, già dalle prime uscite pubbliche, la proposta elettorale è stata la stessa: progetti “assurdi”, volutamente astrusi e paradossali, che facessero comunque ragionare su problemi reali della città .
Così la proposta di abbattere il Palazzo Farnese significava denunciare la costruzione dell’immobile antistante, a suo parere di nessun pregio architettonico e soprattutto colpevole di aver “coperto” i resti romani di un probabile anfiteatro.
La realizzazione di un canale navigabile sul Corso era la metafora per districarsi dal dibattito sulla viabilitĂ in quella importante arteria del centro storico, che concentra pesanti flussi veicolari e conseguente grave inquinamento urbano.
Ancora, l’abolizione della morte era la soluzione paradossale riguardo al dibattito elettorale sull’ipotesi di un nuovo ospedale a Piacenza. Il muro tra Piacenza e la bassa padana a est della città per fermare il crescente flusso di immigrati, se ironizzava sul muro di Trump, sottolineava anche l’urgenza di interventi in materia di profughi e accoglienza.
Tutte provocazioni dunque, progetti volutamente irrealizzabili e paradossali, che avevano lo scopo da un lato di deridere la volontà progettuale degli altri candidati e dall’altro di stimolare un pensiero ed un dibattito su problemi reali del territorio.
Questo approccio “surreale” alla politica urbana ha suscitato da subito interesse nella popolazione e soprattutto tra i giovani, spiazzando del tutto i rappresentanti delle altre liste.
In ogni confronto tra i sette candidati, Torre riscontrava sempre simpatia e spesso applausi tra il pubblico, proprio per l’evidente “diversità ”, la paradossalità delle proposte, l’ironia dell’eloquio.
Rimane tuttavia un dubbio pesante sulla validità della sua esperienza: prima di tutto la conclusione dei suoi comizi rasentava sempre il populismo più qualunquista e demagogico, perché attaccava indistintamente tutti, i partiti, i politici, gli amministratori locali, rei di raccontare bugie, proporre soluzioni non realizzabili, perseguire interessi personali o particolaristici. Tanto da chiudere i comizi con invettive spesso volgari e di stampo tipicamente leghista. Ma soprattutto è la delegittimizzazione delle istituzioni politiche l’aspetto che reputo più negativo e pericoloso della sua proposta, con l’utilizzo della fascia da sindaco e della tuba.
In un tempo in cui l’antipolitica crea confusione e rabbia tra gli elettori, che infatti sempre meno ricorrono alle urne e quindi snobbano il primo diritto-dovere che abbiamo come cittadini, sfruttare questo sentimento diffuso di rifiuto della politica diventa un modello di partecipazione civica per me che squalifica, ridicolizza e quindi indebolisce uno dei fondamenti del nostro vivere collettivo, ovvero il rispetto della democrazia e delle sue istituzioni.