Il Furto del Klimt è una geniale operazione di Marketing
Passati vent’anni dal furto, dopo che il reato è caduto in prescrizione, giunge al suo epilogo una vicenda dai connotati romanzeschi.
Un furto surreale
E se fosse una operazione di Marketing, durata più di vent’anni, congegnata in modo da trasformare un quadro praticamente sconosciuto un un’opera d’arte famosissima?
Io credo che sia proprio così, credo che qualcuno, un genio, abbia pensato fin dall’inizio tutta la vicenda, ed abbia, per quanto gli è stato possibile, cercato di fare in modo che si svolgesse proprio così.
Credo che fin dall’inizio ci fosse l’intenzione di farlo essere un furto quasi surreale, scoperto il giorno prima della discussione in consiglio comunale della mia interpellanza sul rischio di furti nella galleria Ricci Oddi, dovuto ad un sistema di allarme assolutamente inadeguato.
Del resto il fare in modo che praticamente tutti i quotidiani d’Italia pubblicassero in prima pagina un titolo a tre o quattro colonne sulla medesima falsariga che suonava pressappoco come: “Furto annunciato a Piacenza”, ha fin dall’inizio messo il pepe su questa storia.
I fatti raccontano ma sono le storie che vendono
Chiunque sa di marketing è consapevole che i fatti raccontino mentre le storie vendano. Quindi per riuscire a fare in modo che un fatto, come è stato il furto e come prima ancora fu la scoperta del secondo ritratto al di sotto di questo, occorre che ci sia una storia da raccontare, che parli dei diversi fatti e che sia in grado di cucirli assieme con un ritmo narrativo fatto di baleni e silenzi, di un prepotente tornare alla ribalta del dipinto, per tornare nel dimenticatoio subito dopo.
Probabilmente, quindi, anche le più fantasiose delle storie che hanno accompagnato questo signora, dal giorno della scoperta della sua scomparsa, a quello del suo ritrovamento, rocambolesco e fuori dall’ordinario, sono state architettate da quella stessa mente geniale che ha progettato e compiuto il furto.
Tanto la pista esoterica, che voleva il ritratto opera di Gustav Klimt, utilizzato per accompagnare la sepoltura di una bambina in un rito satanico, a quella comica, del pacco indirizzato a Bettino Craxi ad Hammamet, quanto quella del collezionista giapponese che la esponeva tranquillamente in salotto dicendo a tutti che era un falso, sembrano storie create ad arte, concepite per creare un’aura di mistero e fama ad un dipinto che intanto diventava uno dei più ricercati al mondo.
Le circostanze del rinvenimento, poi, ed i dubbi sulla sua autenticità ripescato in un anfratto del muro della galleria, seminascosto dall’edera, sembrano scritti da un abile autore di triller.
Responsabilità
Se si pensa a come, dopo il furto, le cui responsabilità dovrebbero ricadere su chi aveva in custodia la collezione museale, lascito di Ricci Oddi, non scatenò nessun terremoto, lasciando tutti, dal presidente al direttore della galleria, al loro posto, qualche dubbio sul fatto che l’operazione fosse stata progettata, pianificata e deliberatamente messa in pratica, viene eccome.
Resta il fatto che, anche se tutto fosse un caso, se davvero i ladri fossero coloro che stanno in tutti i modi tentando di addossarsene la responsabilità, la vicenda ha tutti i connotati per destare l’interesse della gente, e conquistare un pubblico ben più vasto di quanto non siano i semplici estimatori d’arte contemporanea.
Ed ora che succede?
A Piacenza non resta che approfittarne, cercando di battere il ferro fin che è caldo, nel mentre in cui critici d’arte ed esperti si palleggiano expertise fatti su fotografie e pareri basati più su sensazioni che su dati di fatto, nel mentre che due loschi figuri, a suon di lettere con autoconfessioni, stanno tentando di addossarsi la responsabilità del furto.
L’unico suggerimento che mi vien da dare, ad amministratori, uomini di cultura ed imprenditori è farsi questa domanda: “cosa fareste voi se anziché piacentini foste parmigiani?”
Magari evitiamo che Parma, con la scusa della capitale italiana della cultura, ci freghi anche il Klimt!