La mia amicizia speciale con William Xerra dura da più di vent’anni. Ci siamo trovati un giorno al castello di Ziano ed abbiamo perduto la consapevolezza del tempo che passava, raccontandoci cose.
Da allora è stato un continuo rincontrarci, nelle più strane occasioni, e scoprire sempre che quella scintilla scoccata anni prima era ancora vivissima.
Delle tante amicizie che ho, quella con William è forse la più speciale; ci dividono tanti anni, quasi trenta, ed abbiamo un modo differente di porci i problemi. Io sono il complottista, il sensazionalista, lui è il riflessivo il pacato.
Tempo fa gli proposi un intervento su palazzo Marrazzani, in piazza Sant’Antonino, quando attorno alle finestre della mia sala, saltò fuori un affresco.
Sarebbe stato bellissimo se, in barba ai soloni delle varie sovrintendenze, si fosse andati a scrivere un bel VIVE sopra quell’affresco.
Ci mise un po’ a digerire la proposta, ma del resto, il modo con il quale il frammento di affresco era appiccicato alla facciata, lo faceva sembrare uno di quei dipinti rovinati, che Xerra attaccava alla tela sul telaio interinale. In somma era corrispondente, in tutto e per tutto, alla cifra artistica del VIVE di William.
Il VIVE che è un elemento tipico dell’editoria; quella scritta con la quale vengono resuscitate le versioni originali sotto le correzioni nei testi editoriali. Una semplice scritta che assume una forza immensa nel restituire alla originalità dei testi un ruolo dominante.
Così abbiamo progettato l’intervento nel dettaglio, abbiamo persino chiesto un preventivo per una autoscala con la quale, nottetempo, aggredire la facciata e trasformarla in una opera d’atre contemporanea.
Abbiamo fatto varie prove sulle fotografie della facciata ed abbiamo architettato la risposta da dare a chi, il giorno dopo, avrebbe aspramente criticato l’intervento accusando me di cialtronaggine e lui di sciacallaggio.
Abbiamo persino coinvolto un critico d’arte che si esaltò per lo spazio temporale di una sera, salvo poi scomparire quando decidemmo di non fare nulla.
Quel che ci lega non è il modo di vedere il mondo, ma l’entusiasmo nel guardarlo. Parlare con un ragazzino di 83 anni, quale lui è, rappresenta una iniezione di fiducia nel futuro senza eguali.
Non è cosa per nulla scontata, anzi, sono pochissimi quelli che arrivano alla sue età conservano un simile amore per la vita.
Così, arrivando a questo presente che tanto mi turba per le vicende della mia vita personale, quasi per caso, è nata l’idea di scrivere IO MENTO sul ritratto di Signora, il quadro di Klimt rubato e ritrovato alla galleria Ricci Oddi di Piacenza.
Come due cospiratori, abbiamo steso un testo nel quale abbiamo attualizzato il manifesto dell’io mento che Xerra pubblicò nel 2002 ed abbiamo fatto stampare 10 copie del dipinto con la scritta, su tela intelaiata, da una azienda di Vercelli trovata su internet.
E poi lui mi ha chiamato, e dopo avermi comunicato la sua felicità perché un amico elettricista aveva finalmente riparato il suo Flipper esposto negli anni sessanta alla biennale di Venezia, mi ha detto: “Sei un maledetto! Da quando lo ho appeso in casa, mi sembra che un fantasma mi guardi.”
Se non è amicizia, vera, sincera, profonda, questa, non so cosa altro lo possa essere!
William grazie di essere mio amico.