Le storie vendono. Si dice che i fatti raccontino, ma che siano le storie a vendere.
I primi ad accorgersene sono stati gli spin doctor politici, quei personaggi che stanno dietro le scelte comunicative degli uomini politici, che già parecchi anni fa, si sono accorti che è nella narrazione della storia personale del loro candidato, e non già in ciò che ha fatto, la chiave per raggiungere il cuore della gente.
Il marketing politico è stato il primo a proporre storie accanto agli slogan. Storie capaci di incantare e produrre empatia: se l’elettore medio riesce a riconoscersi nella storia del candidato, allora conquistarne il consenso diventa facile, e diventa facile far passare in secondo piano i fatti, e riuscendo a rendere gli slogan molto più efficaci.
La cosa è ben presto andata oltre l’ambito politico, finendo per diventare il Leitmotiv di moltissime campagne pubblicitarie, soprattutto dei brand sportivi, costruite attorno a storie che volgono, poco per volta, a creare una brand identity molto forte e nella quale sia bello, appagante riconoscersi.
Non è un caso se i grandi testimonial, sono personaggi che vengono raccontati come uomini e donne comuni, capaci di vincere le avversità della vita, più volte costretti a ricominciare ed a reinventarsi, esattamente come ad ognuno di noi accade.
Costruire le storie passando attraverso il “per aspera ad astraâ€, ovvero con un ritmo narrativo che passa attraverso momenti di profonda crisi e disperazione, ma che vengono risolti fino ad arrivare la lieto fine, è il cardine della pubblicità contemporanea.
L’atleta che ha subito un infortunio grave, che ha lottato come un leone con una malattia, così come “l’uomo che si è fatto da solo†costruendo il successo personale lottando con le difficoltà che la vita gli ha messo davanti, riuscendo ogni volta a superarle, fino a costruire qualcosa di veramente importante, sono gli ingredienti dei quali lo storytelling contemporaneo non può fare a meno.
Quindi ogni imprenditore deve mettere la propria storia a servizio della propria azienda, poiché nel raccontare se stesso racconta la sua impresa e la umanizza, rendendola capace, poco per volta di diventare un valore simbolico per il pubblico.
Nel definire un target di clientela possibile, non sono più solamente i fattori economici, demografici ed geografici ad avere rilevanza, ma sono quelli etici ad avere il sopravvento.
Così la bella famiglia del Mulino Bianco poco per volta scompare dallo storytelling e viene sostituita dal Banderas che racconta il prodotto, semplicemente perché la famiglia ha perso il valore che un tempo aveva.
E viene da chiedersi se sia stato il modo con il quale, tanto il mulino bianco, quanto altri brand, hanno modificato il modo di rappresentare la famiglia, a determinare l’evaporazione del senso della famiglia contemporanea, o viceversa sia stato il progressivo affermarsi di una famiglia diversa da quella tradizionale, a costringere i pubblicitari a prenderne atto, fatto sta che oggi l’associazione tra prodotto e famiglia felice non la si trova più nella pubblicità .
Resta il fatto che attraverso le storie, non si racconta mai la verità , ma la si adatta alla necessità di produrre empatia, si enfatizzano certi aspetti e si minimizzano altri, si utilizza un ritmo narrativo fatto di alti e bassi e si cerca di fare in modo che il nostro pubblico si senta sempre più coinvolto in quello che raccontiamo.
Le storie che incantano hanno per certi versi superato le regole di Cialdini, che sono state il canovaccio per la produzione delle campagne pubblicitarie fino a pochi anni fa, perché il mercato di oggi è talmente saturo da non farle più bastare.
Se vogliamo che un prodotto renda felice chi lo acquista dobbiamo fare in modo che il consumatore diventi fan, si riconosca nei valori del nostro brand, e si senta coinvolto, in qualche modo, nella storia che gli raccontiamo.